I luoghi de “Il cuore della montagna”

Val Seterna

Qualche lettore, durante la lettura del romanzo, si è chiesto se Val Seterna esiste realmente. Qualcuno forse sarà anche andato a controllare su Google Maps…

Val Seterna è un luogo immaginario, ma è soprattutto un luogo del cuore.

Frequento l’Alto Adige dalla mia prima infanzia e – senza rinnegare le mie radici emiliane – la considero una terra d’adozione. Dai sei anni in poi, ogni estate ho passato qualche settimana nelle Dolomiti, specialmente in Val Gardena.

Ma le bellissime valli Gardena, Badia, Fassa che frequentavo allora, nel 1975 erano già piuttosto note e visitate, mentre per il mio romanzo io cercavo una zona che in quegli anni fosse meno considerata dal turismo. Per avere la libertà di collocarvi tutto ciò che mi serviva, ho deciso di inventarmi una vallata e l’ho collocata tra le valli laterali settentrionali della Val Pusteria, come la Valle Aurina, la Valle di Anterselva, la Val Casies, che all’epoca mi colpirono per la loro selvaggia bellezza.

Spero di aver reso giustizia, almeno in parte, alla atmosfera magica di quei luoghi.

La miniera

«La prima volta che siamo entrati avevamo l’età di Sabrina, o forse un anno di meno.» raccontò Laura «Eravamo spaventati, direi terrorizzati, ma volevamo dimostrare di essere coraggiosi e grandi. Camminavamo pianissimo nella galleria, tenendoci per mano. Avevamo delle piccole torce, ma sembrava che quella roccia scura si mangiasse tutta la nostra luce. E c’era odore di ruggine e di terra bagnata.»
Sabrina si spostò sul bordo del divano e si sporse in avanti, verso Laura.
«Alla fine della prima galleria c’è una stanza abbastanza grande, da cui partono altre gallerie. Ci siamo fermati lì e pian piano la paura è scomparsa. Anzi, ci sembrava che la montagna sapesse che non avevamo cattive intenzioni e ci invitasse a entrare, così abbiamo provato a spegnere le torce. E poi è successo.»
«Cosa?» chiese Sabrina.
«L’aria si muoveva. La montagna stava respirando, come una gigantesca creatura vivente il cui cuore doveva trovarsi in fondo alle gallerie, in un posto magico e segreto.

Nella seconda metà degli anni Settanta ho praticato intensamente la speleologia, scoprendo l’emozione del buio e del silenzio assoluti che si possono sperimentare in una grotta. Una miniera abbandonata, però, era un luogo più adatto per collocarvi un laboratorio, perché le sue gallerie scavate dall’uomo sono più regolari e praticabili.

Di miniere dismesse ce ne sono diverse, in Italia, e molte sono visitabili. Per esempio, a Predoi, in Valle Aurina, si trova una miniera che fino agli inizi del XX secolo era al terzo posto in Italia per importanza nell’estrazione di rame.

Oggi il Museo Provinciale delle Miniere offre la possibilità di inoltrarsi lungo la galleria St. Ignaz a bordo di un trenino e, al termine del percorso, di fare una visita guidata che dura circa un’ora.

A me è piaciuta moltissimo anche la Miniera di ferro del Ginevro, al Monte Calamita, nel comune di Capoliveri (Isola d’Elba). Quando l’ho visitata stavo lavorando al romanzo e percorrerne le gallerie mi è stato di grande ispirazione.

La miniera è tutt’altro che esaurita e ci è stato raccontato che la quantità di minerale ancora estraibile è enorme, ma è considerata una riserva strategica di ferro dallo Stato italiano.

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